ricorrenze

Natale – Le sette cose
La sera della vigilia, prima di iniziare il cenone, gruppi di bambini giravano casa per casa a fare gli auguri e a chiedere le sette cose. I paesani mettevano nei loro cestini sette semplici doni differenti. Di solito erano noci, nocciole, mele, castagne, mandarini e chi era più fortunato poteva ricevere in regalo anche caramelle, cioccolatini e torroncini. Il moderno Halloween? Questa usanza lo ricorda anche se è molto più vecchia. Tutto ciò era di buon auspicio per le famiglie ed una grande gioia per i bambini che si dividevano il bottino ricevuto. Dopo cena tutti si riversavano per la strada con le ciaramelle suonando la pastorella, tipica canzone natalizia. Insieme aspettavano l’ora della santa messa che era celebrata a mezzanotte. I ragazzi lungo le vie del paese accendevano i fuochi con le torce per illuminare la strada. Queste erano preparate con la scorza del ciliegio (la corteccia estratta veniva essiccata e poi bruciata) o con i sacchi di canapa tagliati e impregnati di cera fusa. Il dolce caratteristico era il pangiallo, preparato con noci, fichi secchi, uvetta candita, vino rosso e cioccolata amara.

17 gennaio – S. Antonio
Il giorno di S. Antonio si usava girare per le case per mangiare cibi che venivano offerti a chiunque bussava alla porta. I più comuni erano pagnottelle di pane o di polenta. Le famiglie più benestanti preparavano ricche pietanze da donare agli ospiti. La più famosa era una specie di minestra cucinata con farina di miglio e patate molto densa e saporita: la paniccia. Si condiva con sugo di maiale o con le salsicce. Altro piatto diffuso era il riso a minestra cucinato in un callarone con sugo di castrato o guanciale. Altra pietanza tipica era la panonta: si friggeva la pancetta insieme alle salsicce nuove e qualche fetta di pane in una grande padella. In alternativa il pane casereccio veniva abbrustolito a parte, bagnato e condito con la panonta. Presso qualche famiglia si dice che si donavano perfino soldi a chi si presentava quel giorno. Beneficiari di queste bontà erano bambini, ragazzi, i poveri del paese ed i viandanti. Forse la tradizione nacque per rifocillare chi da paesi lontani transitava ad Aringo per recarsi a Montereale nel giorno di fiera.

Di mattina il parroco diceva messa e al termine benediva tutte le bestie del paese, che per l’occasione venivano portate in strada dai pastori, in segno di buon auspicio per il nuovo anno,. Nel pomeriggio poi si tenevano grandi feste nelle case sempre all’insegna della buona cucina casereccia: si preparavano frittelle e si beveva il vino novello, si cantava e si ballava con le note del saltarello.

25 gennaio – Potatura di 3 viti
Un’antica credenza di Aringo voleva che durante questa giornata i produttori di vino dovevano potare solamente tre viti, in vista della potatura vera e propria che si effettuava entro il mese di marzo rigorosamente con la luna piena: era di buon auspicio per la raccolta delle uve e la produzione di vino dell’intero anno.

2 febbraio – La Candelora
Durante la messa celebrata la mattina il parroco benediva le candele e le distribuiva ai fedeli. I ceri benedetti venivano custoditi nelle case, in quanto si riteneva potessero tenere lontani gli influssi maligni. In ogni casa si preparavano pizze fritte e castagnole, considerato il periodo del Carnevale e nel pomeriggio si usava uscire tutti mascherati e girare per le vie del paese. In passato non esistevano maschere confezionate come oggi e allora si improvvisava il travestimento indossando antichi abiti trovati in qualche baule e appartenuti magari ai nonni. Meglio se non erano a misura, al limite si poteva aggiungere un mantello o un cappello. Talvolta capitava di incontrare i ragazzi indossare vecchie uniformi militari. Anche in questa occasione si finiva per festeggiare allegramente nelle case dei paesani mangiando e ballando tutti insieme con le ciaramelle e l’organetto.

3 febbraio – S. Biagio
Il 3 febbraio si festeggiava S. Biagio, considerato il protettore della gola. Se agli inizi del ‘900 si usava portare in chiesa il pane per farlo benedire dal parroco durante la messa, col passare degli anni divennero famose e più diffuse ad Aringo le ciambelle di S. Biagio. Preparate con gli stessi ingredienti del ciambellone classico e cotte al forno, anch’esse prima di essere mangiate dovevano essere benedette, sostituendo così le pagnottelle. Tutto il paese partecipava alla funzione della mattina portando dalle proprie case il sale e l’olio per la consacrazione. Al termine il parroco ungeva con olio santo la gola di tutti i presenti in segno di buona salute e al fine di prevenire ogni malattia di raffreddamento.

Pasqua – Settimana santa
Il martedì iniziava il digiuno che durava fino al sabato santo. Il mercoledì venivano legate le campane e fino al sabato non potevano essere suonate per nessun motivo, neanche in caso di lutto. Il giovedì si consacravano i Sepolcri con una veglia nella chiesa che durava per tutto il giorno e tutta la notte. Si portavano sull’altare minore sinistro le piantine di grano e lenticchie che erano state seminate in piccoli vasi durante il primo giorno di Quaresima e si lasciavano lì per tutto il periodo della festività (usanza ancora in voga). Ogni famiglia doveva predisporre il necessario per la colazione ed il grande pranzo della domenica: si infornavano i dolci, si cuocevano le pizze salate lievite, si preparava l’agnello e il capretto.

Il venerdì santo si svolgeva una funzione alle cinque del pomeriggio. Per avvisare la popolazione dell’inizio della messa, essendo le campane legate, si usavano le traccanelle. Una singolare usanza per i giovani erano le battiture: i ragazzi, disposti a cerchio nella chiesa, scandivano la funzione della Via Crucis battendo a terra con dei bastoni.

Finalmente il sabato santo a mezzogiorno si scioglievano le campane del paese ed era grande festa: terminava il digiuno iniziato il martedì e si entrava nel vivo dei festeggiamenti. La mattina si cominciava con la benedizione della chiesa e a seguire, quella di tutte le case. Si narra che il curato a fine giornata era spesso euforico avendo degustato vino presso tutte le famiglie.

La domenica di Pasqua iniziava con la prima colazione considerata da sempre come un rito e consumata con la tavola abbellita dalle violette. Prima della guerra c’era molta povertà, quindi i preparativi e le pietanze erano limitati rispetto agli anni successivi. La frittata con le vitacchie e la palombella (pagnotta con un uovo sodo collocato al centro) furono col tempo sostituite da: frittata di carciofi, salame, ventricina, coratella di agnello, uova sode decorate, pizza pasquale salata o semidolce, vino rosso, ciambellone con uovo sodo al centro. A seguire veniva celebrata una messa molto lunga.

Pasqua – Le traccanelle
Erano degli strumenti in legno che servivano per provocare forte rumore. Alcune costruite con una tavoletta in legno con dei pezzi di ferro a forma di L o di C fissati su entrambi i lati: ruotandola velocemente si produceva fracasso. Altre a forma di trick-track, con un bastone ad ingranaggio dentato sul quale ruotava un altro meccanismo. Altre ancora erano costituite da tre mazzuoli: agitandole, i due esterni battevano su quello interno fisso. Ve n’erano perfino certe formate da due bastoni preparati con scanalature orizzontali: sfregandoli insieme si otteneva rumore assordante. Armati di questi simpatici strumenti e su richiesta del parroco, numerosi gruppi di ragazzini insieme ai chierichetti correvano per tutto il paese facendo un baccano terribile: serviva ad avvertire i paesani che stava per iniziare la funzione religiosa del venerdì santo.

Pasquetta – Passalacqua
La gita fuori porta, detta Passalacqua, si faceva e si fa ancora il martedì anziché il lunedì dopo Pasqua. Non si conosce con precisione l’origine della sua espressione. Secondo alcuni pare derivi dal fatto che grazie alla presenza di numerosi corsi d’acqua nella zona, in molte occasioni per raggiungere un prato sufficientemente ampio e comodo ci si doveva allontanare parecchio dai centri abitati e per giungervi capitava spesso di dover attraversarne uno (dal dialetto “passare” = oltrepassare). Secondo altri invece il luogo ideale per fare la scampagnata si sceglieva sempre nei pressi di un fiume probabilmente in modo da utilizzarla per cucinare o semplicemente per bere.

Anche questa era considerata una giornata di festa sicuramente dedicata ai giovani. Si mangiava cibo in abbondanza e si beveva vino (gazzosa macchiata con un po’ di vino per i bambini) ballando tutti insieme con tamburelle, ciaramelle e organetto all’insegna dell’allegria e della compagnia. Per i più piccoli ciambellone pasquale e pupazzetti con uovo sodo incastrato nel petto.

3 maggio – Festa della crocetta
L’occasione per festeggiare con partite alla morra, alle bocce e grandi bevute, era offerta dalla benedizione che in questa giornata il paroco faceva ai campi coltivati. Al termine della messa che si teneva la mattina presto, si svolgeva una processione che attraversava il paese con un percorso a croce: si partiva dalla chiesetta a piedi l’Aringo per arrivare nella zona nord (a capo l’Aringo), si riscendeva in paese deviando per la strada vicinale del fosso fino a toccare l’area dell’attuale campo di calcio e si concludeva il corteo tornando per la via del casale.

Durante questo tragitto si passava per ogni campo seminato a grano e si impiantava ben visibile una crocetta di legno di nocciolo. Se la famiglia era in lutto rimaneva integra, altrimenti veniva sbucciata dalla corteccia per renderla più chiara. Con gli anni le crocette furono verniciate di bianco con la calce insieme alle rocce presenti sul terreno. Questo rito era detto sbiffatura e serviva a delimitare i confini del terreno seminato e a indicare ai pastori che dovevano tenere lontane le greggi. Nel corso della cerimonia il parroco benediva le coltivazioni, ponendo accanto alla crocetta un ramoscello di ulivo, il resto di una candela del giorno della Candelora e, se qualcuno lo aveva conservato, il residuo di carbone di un ceppo di Natale: era di buon auspicio per il raccolto che sarebbe stato generoso.

Maggio – Ascensione
Era considerata una giornata di festa. Non si andava al lavoro nei campi perché tutti osservavano un giorno di riposo e non si lavorava neanche il formaggio. Il latte si utilizzava  per preparare la quagliata. Questa si donava alle famiglie più povere del paese e a quelle degli altri paesi che arrivavano ad Aringo durante questa giornata. La sera poi si usava lasciare delle candele accese alle finestre di ogni casa per tutta la notte.

Giugno – Corpus Domini
Questa ricorrenza in passato era molto sentita. In occasione della caratteristica processione che attraversava il paese, tutti i vicoli e le case venivano decorati con fiori e ginestre che in questo periodo sono in piena fioritura. Porte, finestre e balconi erano accuratamente ornati di piante. Durante il mese che precedeva la mietitura inoltre, si cominciava la semina degli orti e la falciatura del fieno. Una volta tagliato con falce e falcittu, veniva riunito col forcone in piccoli cumuli e lasciato seccare a terra per qualche giorno. Quindi era caricato sui carretti trainati dai somari e portato sull’ara per essere sistemato nei pagliai e nelle stalle.

26 Luglio – S. Vincenzo
Si teneva una lunga processione che partiva da Aringo e arrivava fino a Montereale passando per la Madonna in Panthanis. Dopo la messa, il corteo seguito dai fedeli percorreva tutti i vicoli del paese prima di prendere la via delle vigne alla volta della piana di Montereale. Durante il percorso il parroco benediva tutte le vigne e i campi del paese coltivati a grano.

Agosto – Festa del patrono
La festa patronale cadeva e cade tuttora la domenica dopo ferragosto. È sicuramente una delle più sentite dagli aringari che ancora oggi vi partecipano numerosi tornando in paese per l’occasione ed è una delle poche che abbia conservato una continuità nel tempo. La mattina presto il boato di un mortaretto sveglia i paesani e consacra l’inizio delle celebrazioni. Poi arriva la banda musicale che suona per tutte le strade del paese. Dopo la messa una processione si muove lungo i vicoli: un’antica usanza vuole che in questo giorno si espongano sulle finestre e sui balconcini delle case i lenzuoli ricamati e le coperte più pregiate. Nel pomeriggio si eseguivano i tipici giochi come la corsa con i sacchi, con le conche, il tiro al gallo, alla fune, l’albero della cuccagna e la sfilata di maschere improvvisate al momento. Intorno agli anni ‘70 la festa è stata portata a tre giorni.

Fine agosto – Trebbiatura
Lo svolgimento della trebbiatura era una giornata di duro lavoro alla quale partecipavano tutti, uomini e donne. Anticamente i raccolti, ammassati in un campo comune, erano prima percossi con lu fiaellu. La battitura permetteva di far separare il grano dalla paglia. Il fieno era poi trascinato via dai somari che, portati in un altro punto, venivano fatti girare a cerchio per far cadere altri chicchi. Il grano a terra era quindi scamato a mano. Con fatica ma grande soddisfazione questo procedimento poteva anche durare la notte e il giorno successivo se il raccolto era stato abbondante. Negli anni successivi il giorno della trebbia divenne occasione per festeggiare in allegria. Terminata la mietitura, arrivava ad Aringo una grossa trebbiatrice per lavorare il grano raccolto dai contadini di tutto il paese. Si cominciava la mattina di buonora e ognuno aveva un ruolo: c’era chi inforcava il fieno nella macchina, chi raccoglieva il grano battuto, chi tirava via le balle dai nastri scorrevoli. Tutto era organizzato con precisione e praticato insieme agli altri per la produzione di grano dell’intera comunità.

8 settembre – Madonna del Loreto
Le celebrazioni prevedevano una processione che attraversava tutto il paese partendo dalla vecchia chiesa della Madonna del Loreto al monumento dei caduti fino ad arrivare alla chiesetta della Madonnella. Serviva a trasportare la statua della Madonna da una chiesa all’altra. Al termine veniva celebrata una messa.

Ottobre – Raccolta della frutta
In questo mese si faceva la raccolta di frutta, castagne e granturco e spesso, per l’occasione, arrivavano ad Aringo donne da altri paesi, come Campotosto, Poggio Cancelli e Mascioni per partecipare ospiti per qualche giorno. Durante la raccolta del granturco, si racconta che se un ragazzo trovava una pannocchia di colore rosso (molto rara), era considerato fortunato e poteva baciare la ragazza che a lui più piaceva. Di conseguenza, quando questo accadeva, il totero rosso girava tra gli uomini che se lo passavano in segreto e i baci alle donne si moltiplicavano tra le risate di tutti.

2 novembre – I Defunti
Il parroco celebrava una particolare messa prima dell’alba che era dedicata ai morti e per l’occasione i paesani portavano nella chiesa delle ceste piene di grano, pane e legumi che venivano benedette e simbolicamente offerte dai fedeli ai propri defunti.

9 novembre – S. Salvatore
In questa giornata nel passato si festeggiava il patrono di Aringo. La mattina si svolgeva una messa alla quale partecipavano tutti i paesani e al termine i capi famiglia del paese usavano offrire il pranzo al parroco.

 

8 dicembre – La Concezione
Quando ancora si produceva il vino con uve provenienti dalle numerose vigne presenti intorno al paese, si usava dare inizio alle festività di fine anno il giorno 8 dicembre: il giorno della Concezione. Gli uomini, in genere i capi famiglia, giravano di casa in casa per bere il vino nuovo, per assaggiare l’acquerellu, lu ‘mmostu. Tradizione ormai totalmente persa oggi in quanto sono scomparse le vigne insieme ai vignaioli.